Storia di Enrico
ConTatto – Storia di Enrico, 12 anni
[Racconto della mamma] “Stavamo discutendo io e mio marito in merito ad un problema di lavoro e i toni si stavano alzando, essendo in disaccordo sul da farsi. Ad un certo punto Enrico entra in cucina, con quel suo fare mesto e silenzioso, e ci viene incontro avvicinandosi a me e posizionandosi esattamente in mezzo tra io e mio marito, cercando un abbraccio. Il mio primo istinto è stato quello di allontanarlo dicendo “non vedi che io e papà stiamo parlando e tu ti sei messo in mezzo? Ora non è il momento degli abbracci!”.
Immagino sarà capitato a tutti voi di avere un figlio/a o un amico/a che ogni volta che vi vede vi abbraccia e, mentre vi parla, ogni occasione è buona per creare un contatto fisico: vi prende il braccio, vi tocca la mano, un colpetto sulla spalla …. tende a stare sempre troppo vicino!!! E quando lo fa magari voi vi irrigidite, non gradite un gran ché quel suo modo troppo “appiccicoso”!
Un po’ come il nostro Enrico che, anche se oramai è adolescente, ronza sempre attorno alla mamma esclamando: “mamma, fammi le coccole!”, “Non mi abbracci mai!”, “guardiamo un film insieme?”, “Mi fai spazio nel lettone tra te e papà?”
…. ogni momento è buono per stare appiccicato, vicino vicino, e a lei manca l’aria. Le viene l’istinto naturale, incontrollato, di allontanarlo, lo respinge spesso prima ancora che riesca a stritolarla nell’ennesimo abbraccio o tentativo di avvicinarsi
… non perché non lo ama, no di certo! Semplicemente perché questa sua richiesta continua di contatto fisico le crea una sensazione quasi di soffocamento, di invasione del suo spazio.
Succede anche a voi? A me si!
E lo si vede subito la reazione che ha quanto lo allontanate o rifiutate quel momento di vicinanza, perché lo leggete nei loro occhi.
Alcuni diventano tristi e pieni di quelle lacrime che non vi daranno mai la soddisfazione di vedere (si girano e se ne vanno a testa bassa), altri invece, come Enrico, diventano furiosi e partono all’attacco con le frasi quelle che ti colpiscono dritto lì, al cuore, ai sensi di colpa, a quella lotta interna tra quello di cui ho bisogno io e quello di cui ha bisogno lui. [E credetemi, anche se tutti ci hanno insegnato che i bravi genitori mettono sempre prima i bisogni dei figli, nella pratica questo non funziona, perché siamo tutti esseri umani, incapaci di dire semplicemente no ai nostri bisogni! Negare i nostri bisogni in funzione dei figli non è la strada per essere buoni genitori. La via migliore è imparare a riconoscere i nostri e i loro, a trovare punti di incontro e le discordanze, accogliendole ed integrandole nel proprio sistema famiglia].
Enrico è così, una sensibilità estrema nascosta dietro ad una maschera di aggressività. Un vulcano pronto ad esplodere ogni qual volta si sente allontanato.
Un apparente “Me la so cavare da solo” che ti segue con gli occhi sia in casa che fuori, ti studia, coglie ogni micro inflessione non verbale sul volto, decodifica alla velocità della luce ogni situazione che crea disagio: insomma uno di quei ragazzi che io definisco “una spugna emotiva”. Ed il suo modo per aiutare (o almeno questo è il suo intento) è avvicinarsi, ridurre lo spazio, con quel suo fare goffo e spesso invadente. Enrico, nell’Enneagramma, è nella Triade Emozionale, quella legata al cuore.
Attraverso il contatto fisico comunica ed interagisce con il mondo esterno. Per lui un abbraccio vale più di mille ragionamenti o discorsi: il calore del contatto lo fa sentire accettato, “giusto così come è”, amato nonostante le divergenze.
[seguito del racconto della mamma] “In quel momento ho notato chiaramente l’espressione delusa di Enrico… e mi è venuto in mente quanto appreso sulle sue caratteristiche, sulla sua sensibilità e su questo suo modo di interagire con l’intento di portare aiuto.
Con quel suo gesto lui ci voleva aiutare. Voleva spezzare quel momento di tensione tra noi. Voleva dirci che lui c’è e ci vuole bene. Così mi sono girata, l’ho abbracciato forte per 30 secondi, e ho sentito la tensione sciogliersi dentro di lui. Stava meglio lui e, incredibilmente, stavo meglio io.”
Si sono incontrati nel punto dove Enrico si trovava, non dove volevano che fosse.
Ed è questo che ha fatto la differenza.
Hanno accolto e integrato questa modalità comunicativa che facilita lo scambio con il proprio figlio, hanno creato quel Con-Tatto non solo fisico ma che, con gentilezza e sensibilità, parla dritto al cuore.